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Pubblicato Domenica, 12 Marzo 2017 19:26
Scritto da Giuseppe
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ALMANACCO-novembre

Novembre > Onnyassantu (tutti i Santi)  > Sant’Andrìa( Sant’Andrea – apostolo – 30 novembre).

Sant’Andrea apostolo, fratello di Simon Pietro, di Bethsaida di Galilea; crocifisso a Patrasso in Grecia nel 60 d. C. Patrono dei pescatori, è particolarmente venerato in Grecia. Il nome Andrea deriva dal greco andròs = uomo, virile. È inoltre Santo Patrono della chiesa Ortodossa, degli Slavi, dell’Austria, della Spagna, dell’Olanda, della Germania, della Russia, etc. Particolarmente venerato ad Amalfi. In Sardegna è venerato in tantissimi paesi ed il centro abitato di Sant’Andrea Frius porta il suo nome: la sua chiesa parrocchiale è dedicata al Santo. Nel paese di Bono, provincia di Sassari, il 30 novembre, festeggiano il Santo con la sfilate delle maschere, ricavate da zucche: non vi è riferimento alcuno all’anglosassone Halloween; si tratta bensì di un “culto” che affonda le radici nelle antiche tradizioni pagane, di cui non è ancora certa l’origine. A proposito il sottoscritto fa riferimento alla danza dei Mammutones di Mamoiada (vedi nel Web Mammutones): non sfilata dei contadini contro i potenti, come taluno asserisce, bensì, come io credo, insieme a tanti altri, corteo contro gli spiriti maligni! Nella sera di Sant’Andrea a Bono i bambini vanno di porta in porta a chiedere la strenna: dolci tipici, mandorle, nocciole etc…rito che si ripropone in molti altri paesi della Sardegna, e non solo, il 31 dicembre col più famoso “dono di San Silvestro”, con “su candeléri”(vedi nel sito > almanacco di dicembre: 31 dicembre San Silvestro -su candeléri).

Sono tantissime le chiese sarde che portano il nome di Sant’Andrea o Andrìa, il cui culto in Sardegna fu portato senz’altro dai monaci greci durante la dominazione bizantina. Alcuni studiosi legano il nome del Santo alla dominazione spagnola nell’isola, rimarcando il fatto che molte chiese dedicate al Santo Apostolo portano le stile gotico – aragonese, ma da una attenta indagine si può desumere che tutti i santuari di Sant’Andrea Apostolo, in tale stile, furono ricostruiti su precedenti strutture. Inoltre nei documenti antichi medioevali è largamente presente il nome Andrea, molto prima dell’arrivo degli spagnoli nell’isola.

Onnyassantu e Sant’Andrìa 

Custu est su mesi de Onnyassantu,

po teni  is mortus in sa cumpanjìa,

y a nai po cussus una pregadorìa

andaus tottus su dus a Campussantu.

Custu est puru su mes’’e Sant’Andrìa,

in su celu currit de nuis unu mantu,

calant is follas ‘e is mattas in prantu

assu ‘entu forti e sa pruìn’ a straccìa.

Abini in su mundu dho-y hat tristùra

de certidu ‘e gherra e feli marigòsu

no sulat su ‘entu ‘essa paxi segùra,

e s’unu cun s’atru ‘olit essi barròsu,

su soli est prus bambu, sa dì prus iscùra:

finas su celu s’allacàynat lagrimòsu!

Peppi

Traduzione (letterale) in italiano

Tutti i Santi, Sant’Andrea.

Questo è il mese di Tutti i Santi

per tenere ai morti la compagnia

e a dire per loro una preghiera,

andiamo, il due, nei camposanti.

Questo è pure il mese di Sant’Andrea,

nel cielo corre di nuvole un manto

cadon le foglie dagli alberi in pianto,

al vento forte e la pioggia a dirotto.

La dove nel mondo c’è tristezza

di lotta e di guerra e odio velenoso,

e non soffia il vento della pace,

l’uno con l’altro vuol essere borioso,

il sole è più pallido, il giorno più buio,

persino il cielo s’angustia lacrimoso!

Peppe

La vigilia di Tutti i Santi ( su éspuru de Onnyassantu): per tradizione si spilla dalle botti il primo vinello (su piricciòlu): evviva su piricciòlu, nettare degli dei!  Il padre di famiglia (pater familias), vignaiolo della domenica, toglie il tappo laterale (su tupponéddu) della botte per infilarci il rubinetto ( su grifoni o sa scètta), indi toglie il tappo centrale(su màfu ) e ripulito il frammento di sacco o tela d’avvolgimento (su kirriòlu o tzàppu), lo rimette con leggera pressione. Di poi fa sgorgare il prezioso e frizzante liquido: il primo assaggio è suo: gli spetta: “Uh, uh! Bonu, balla! Arrivano parenti, amici e compari del vicinato (su bixinàu), opportunamente avvisati. Il pater familias vuole, meritatamente, una conferma della bontà del suo prodotto. E tutti si appressano all’assaggio ben volentieri: “ Bellu, Bellu, Balla! Al secondo assaggio: “Druci e pitzia lingua”! (dolce e frizzante!). al terzo e successivi assaggi: “Bonu, balla; bonu, balla! Quando “gli assaggiatori”arrivavano, la strada era spaziosa e dritta, ora al rientro, sembra una strettoia tutta curve e riguadagnano le proprie abitazioni zigzagando, da un muro all’altro (strombili, strombili; stontona, stontona; trisia, trisia; a manu muru. “Su piricciòlu…bonu. Balla”!

2 novembre: giorno dei morti… Scherzosamente mi torna in mente un aneddoto di seconda elementare: alla proposta della maestra signorina Ghita Porru Bonelli di esprimere un pensierino sul due novembre e quindi sulla commemorazione dei morti, io scrissi: “ Il giorno due novembre la gente va in cimitero per onorare il “culo” dei morti”! Omisi, mio malgrado la “t”, beccandomi la sonora ed irriverente risata della maestra e, di conseguenza, dei compagni tutti. Come se non bastasse, alla fine della lezione e quindi all’uscita da scuola, tutti, bambini maestri e bidelli, sapevano che io avevo scritto culto senza la “t”…abominevole!

Novembre è il mese più cantato dai poeti, forse perché è il più malinconico dell’anno, a causa del peggioramento meteorologico, per la caduta delle foglie dagli alberi, per la riduzione delle ore di luce del giorno, ma soprattutto perché, è il mese dei morti: …//Celeste dote è negli umani; e spesso // per lei si vive con l’amico estinto // e l’estinto con noi, se pia la terra // che lo raccolse infante e lo nutriva, //  nel suo grembo materno ultimo asilo // porgendo, sacre le reliquie renda // all’insultar dei nembi e dal profano // piede del volgo, e serbi un sasso il nome,// e di fiori odorata arbore amica // le ceneri di molli ombre consoli //… // Rapian gli amici una favilla al sole // a illuminar la sotterranea notte//… (Dei Sepolcri di Ugo Foscolo ). Fiori e lumi ornano i cimiteri, che almeno in quel giorno dell’anno, sono meta di tantissimi visitatori, che sentono il richiamo del parente e dell’amico scomparsi!

Qui in Sardegna, le domus de janas ed ancor più le tombe di giganti, di cui l’isola conserva ancora numerosissimi esempi, costituiscono una chiara ed evidente prova dello straordinario rispetto che gli antichi sardi avevano per i cari defunti. Il concetto di morte per i sardi era ed è ancora, in qualche caso, un composito di mistero e di fatalismo: “s’ora de sa morti” è annunciata da presagi e riti, che affondano le radici nell’antichità paganeggiante: su cantidu dessa stria (il canto della civetta); s’aguriu de is canis (l’ululare dei cani); su sonu dessu carru dessa morti (il suono del carro della morte). L’agonia (su sagarru/s’agra) come momento più doloroso e penoso dell’esistenza, poteva trovare  liberazione con l’intervento di una donna o di un uomo che praticasse l’eutanasia (s’accabbadòri o s’accabbadòra): non si trattava di persone prive di scrupoli, bensì animate da un senso di estrema pietà, le quali acceleravano il decorso dell’agonia premendo, nella maggior parte dei casi, sulla bocca del morente un guanciale. Le prefiche (is attittadòras) poi avevano il compito (a pagamento) di piangere il morto.

Dal numero dei rintocchi delle campane si poteva capire se il morto era una donna, un uomo, un notabile del paese, un sacerdote o un vescovo. Per i bambini le campane suonavano come a festa (is arrepìccus po pippiéddu notzénti). Le condoglianze in cimitero o a casa dei parenti dell’estinto prevedono ancora la solita frase: “ A dhu conosci in su paradisu o, a dhu conosci in sa santa groria”! = a rivederlo nel paradiso o, a rivederlo nella santa gloria”! Il lutto (su luttu o meglio, su corrùttu), da parte dei parenti dell’estinto era caratterizzato dall’abito nero. Soprattutto la donna vedova rimaneva in lutto per il resto della sua esistenza. Lo toglieva per poche ore solo in caso di matrimonio per un figlio o una figlia, o definitivamente nel raro caso di seconde nozze. Togliersi il lutto si dice in sardo scorruttài. La donna rimasta vedova ancora giovane, che manteneva fede al marito defunto, alla sua morte, veniva sepolta con l’abito bianco da sposa e con tutti i suoi gioielli (is préndas). L’uomo vedovo rimaneva invece per mesi, talvolta per anni con la barba incolta (braba de viùdu > buìdu).

3 novembre: il 3 novembre 1918, termina la Prima Guerra Mondiale, iniziata il 24 maggio del 1915 (per l’Italia). Vi parteciparono 100 mila giovani sardi, di cui 13.602 morirono combattendo, altrettanti furono mutilati o feriti gravi. Un immenso sacrificio per il popolo sardo, per liberare le terre irredente del Trentino, della Venezia Giulia e di Trieste, tanto lontane dalla Sardegna. Un vero esempio di attaccamento alla Patria “Italia”, un atteggiamento esemplare dettato da coraggio e ardimento, un comportamento da veri e propri combattenti, risoluti ed audaci (vedi nel sito: racconti e leggende del Campidano e Dintorni, - “Antioco Cipolla” eroe del Carso -). Ai cavalieri di Vittorio Veneto, eroi della gloriosa e vittoriosa Brigata Sassari, il re, Vittorio Emanuele III°, per l’ardimento, l’abnegazione, il coraggio evidenziati, promise solennemente “mari e monti” e tantissime altre cose, per risanare la situazione di penosa miseria in cui versava la terra sarda. Mari e monti i sardi li avevano già e li hanno ancora, di tutte le altre tantissime cose promesse non ne mantenne solo una!!! Evviva il re e tutta la sua generosa stirpe. In proposito a tutti i giovani sardi, e non, consigliamo la lettura dell’opera di Emilio Lussu “Un anno sull’Altipiano”.

Il due Novembre di quest’anno (2009), durante la doverosa visita al cimitero del mio paese, di nascita e di residenza, Gonnosfanadiga, mi sono trattenuto in un momento di riflessione sulla tomba di monsignor Severino Tomasi, prezioso insegnante ed insigne storico per gli abitanti del Medio Campidano.

Severino Tomasi (1893 – 1969) – parroco in diverse parrocchie della diocesi di Ales – Terralba, decano del Capitolo e Vicario Generale della stessa diocesi. Era parroco a Gonnosfanadiga quando una squadriglia di bombardieri americani, il 17 febbraio del 1943, sganciando il suo carico di morte sul centro abitato, provocò una immane tragedia. In quelle circostanze seppe dare conforto, non solo spirituale, ai feriti ed alle famiglie delle vittime.

Pubblicò a puntate, nella Rivista Diocesana “Nuovo Cammino”, per oltre un decennio, il risultato del suo  eccezionale lavoro di ricerca sulla storia dei 50 paesi della Diocesi di Ales – Terralba. La meticolosa e certosina ricerca sulla nostra storia, copre ben 4 secoli, dal 1560, al 1960, oggi raccolta in due volumi dal titolo, “ Memorie del Passato” – Appunti di storia diocesana – edito da Cartabianca.

Breve storia del suo passaggio a Gonnosfanadiga: così lo ricordano gli abitanti di questo borgo. Dopo la morte del can. Cabitza, ebbe l’incarico di reggere la Parrocchia (del Sacro Cuore), il vice parroco, teologo Pietro Casti, sino alla nomina del nuovo parroco. Il 27 aprile del 1941, la seconda domenica dopo Pasqua, prendeva servizio il nuovo parroco sacerdote  Severino Tomasi, figlio del fu Antonio e di Saba Barbara, nato a Gonnosfanadiga il 25 Febbraio 1893. fu ordinato sacerdote in Ales il 3 marzo 1918.

Un anno dopo prendeva servizio anche il nuovo parroco, il reverendo Antonio Piras, fu Francesco e fu Peddis Anna, nativo anch’egli di Gonnosfanadiga. Proveniva da Guspini, alla quale sede fu trasferito il viceparroco di Gonnosfanadiga don Aldo Mocci.

Nel 1943 il sac. Severino Tomasi con i suoi parrocchiani, visse la triste tragedia che si abbatté sulla popolazione a causa del bombardamento effettuato da aeroplani americani, il giorno 17 febbraio, alle ore 15. Egli come padre spirituale e pastore partecipò al cordoglio di tutta la popolazione. Ritorna a suo merito l’averci lasciato, da uomo storico qual era, la cronistoria dettagliata di quel triste avvenimento. Il 25 marzo 1943, con una festa celebrata appositamente a Nostra Signora della Salute, fece la consacrazione della parrocchia  e della popolazione al Sacro Cuore di Maria, per implorare la sua protezione sul paese, messo a dura prova dagli orrori della guerra. Nel 1944 vene dato compimento al campanile della chiesa del Sacro Cuore. Nei giorni 18 e 19 dicembre 1944 furono collocate le nuove campane, già acquistate fin dal 1940. Il 24 dicembre, a mezzogiorno in punto si ebbe il primo scampanio. In questa data si riprese a celebrare la Messa alla mezzanotte. Infatti essa, per disposizione pontificia, dal 1942, veniva anticipata  al pomeriggio del 24 dicembre.

Ricordare monsignor Tomasi è sempre un piacere. È stato un uomo eccezionale oltre che un grande parroco. Un grande storico, l’unico vero storico della diocesi di Ales – Terralba. A lui si devono tutti i profili storici dei paesi della nostra comunità diocesana. Per monsignor Severino Tomasi scrivere era la sua più grande passione. Amava farlo con scrupolosa  attenzione e con dovizia di particolari, tanto che, spesso, nei suoi scritti, nel riportare i nomi, si trovano anche i soprannomi, necessari per distinguere i casi di omonimia. Il suo prezioso lavoro è stato ripreso da diversi storici sardi. Tanti hanno chiesto e continuano a chiedere i suoi testi, per trovarvi appagamento alla loro sete di sapere. È preziosa la testimonianza, scrupolosa e dettagliata, sul bombardamento a Gonnosfanadiga. Dobbiamo a lui, che amava la riservatezza e la pace del silenzio, se ancora oggi si conoscono i nomi dei caduti di quel funesto 17 febbraio del 1943. Il sacerdote Severino Tomasi terminava il suo servizio di parroco a Gonnosfanadiga il 18 settembre 1945, anche lui, come tanti altri sacerdoti, destinato a trasferirsi per continuare l’opera evangelica. Venne trasferito ad Ales, dove prese l’incarico di Vicario Generale.

Il racconto del mese (aneddoto).

Gonnosfanadiga: La “Grotta della Madonna di Lourdes”; il sogno di tanti devoti presto si realizzerà.

Sulla sommità della ormai storica gradinata verrà ultimata la “Grotta”, che ospiterà il simulacro della Madonna di Lourdes. Il Comitato per la “Gradinata”, coordinato dal presidente Pinuccio Uccheddu, ha posto serie basi per terminare l’opera incompiuta e rendere soddisfazione agli abitanti di Gonnosfanadiga e non solo, che tanto diedero e tanto fecero per quella opera ed il cui sacrificio è ampiamente documentato negli archivi parrocchiali del Sacro Cuore.

La storia che vi racconto ha per protagonista Carmine, un ambulante che sognava la “Grotta” della Madonna di Lourdes a Gonnosfanadiga ed:

Una corona d’oro per la Madonna della Grotta di Lourdes.

“Il venditore ambulante, che sognava la Grotta della Madonna di Lourdes in Gonnosfanadiga, non potrà vedere realizzato il suo sogno, perché il suo spirito trepidante, per lungo tempo tormentato dall’attesa, fino all’inverosimile, è tornato nelle mani del Creatore. Dall’aldilà troverà forse soddisfazione e conforto alle sue suppliche. Nondimeno verrà resa soddisfazione a quanti, nei paesi del Medio Campidano, della Marmilla, della Trexenta, devotissimi alla Vergine di Lourdes, non disattesero le parole supplichevoli di quel uomo, che portava loro calze e scialini e che chiedeva un oggettino d’oro, una vecchia catenina, un anello consunto, un frammento di braccialetto, un orecchino e quanto altro, in dono, per portare avanti il sogno, che covava in petto da lungo tempo, per una visione o qualcosa del genere, che era in lui un fortissimo stimolo a realizzare quella idea grandiosa: la “Grotta di Lourdes ed Una Corona d’oro massiccio per la Madonna”, a Gonnosfanadiga! E quel ambulante tornava in paese con in tasca il fazzoletto che avvolgeva quelli strani frammenti luccicanti, da cui traspariva, per lui almeno, l’immagine lucente dei suoi sogni. Premurosamente li riponeva insieme agli altri già raccolti, per consegnarli poi, di volta in volta alle persone giuste, che più di lui, umile ed insignificante creatura, sapevano gestire la cosa, per concretizzare il desiderio più profondo della sua questua. Ma i tempi diventarono lunghi, sino all’inverosimile. Per tutti, poi, ed anche per lui sopraggiunse lo scoramento. La chiesa non riusciva più portare avanti l’opera; la Curia Vescovile aspettava che il Comune si decidesse a completarla; gli amministratori comunali, per scaricarsi dell’onere, andavano ripetendo che doveva essere il vescovo ad impegnarsi.

Sta di fatto che con questi “scarica barile”, che si sono protratti nel tempo, l’opera è rimasta incompiuta. Quel povero ambulante poi, non trovando più di che sfamare la sua numerosissima famiglia andò via dal paese, a trovare lavoro altrove. Di lui e del suo sogno si parlò a lungo. Ma in seguito tutto è finito nel dimenticatoio.

Oggi (2009) pochi Gonnesi sanno dove quel uomo è andato a finire e se è ancora vivo. Ma ciò che più preme è che nessun Gonnese sa dove sono andati a finire quei numerosissimi luccicanti frammentini d’oro: se sono stati usati per la realizzazione della “Grotta” o se sono meticolosamente conservati per concretizzare il sogno di Carmine, umile e devoto.

Gonnosfanadiga è un paese assai strano: ci ricordiamo con grande facilità che zia Rita Arberi andava a comprare il vino con il pentolino  del latte, per nascondere, agli occhi della gente, il suo piccolo vizio, ed invece dimentichiamo o forse vogliamo dimenticare, le cose di gran lunga più importanti.

È cosa sicura che Carmine, dall’alto dei cieli sta osservando e vede che finalmente la “Grotta per la Vergine di Lourdes, all’apice di quella bellissima gradinata, è quasi realizzata. Il suo sogno, il sogno di tutti i Gonnesi e di quanti, dei paesi del Medio Campidano, della Marmilla e della Trexenta, hanno contribuito, anche con un piccolo dono, riposto devozione nelle mani dell’ambulante, si sta per realizzare. Ma Carmine e quella gente aspettano di vedere anche la statuina della Madonna e con la splendida corona tutta d’oro massiccio!