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Santa Severa di Gonnosfanadiga

In questo ameno borgo della Sardegna meridionale, situato tra le pendici settentrionali del massiccio del Linas e la pianura del Campidano, il lunedì dell’Angelo, giorno di Pasquetta, si rinnovano i Festeggiamenti in onore di Santa Severa. La festa si celebra nella omonima chiesetta campestre, sita a un chilometro circa a sud ovest del centro abitato, raggiungibile a piedi, in passeggiata.

Nel libro del Lamarmora “Viaggio in Sardegna”, ove è catalogata la chiesetta campestre di Santa Severa in Gonnosfanadiga, è detto: “E’ una festa molto attesa dagli abitanti del luogo e vi partecipa tanta gente pure dei paesi vicini”.

Dai documenti ecclesiastici apprendiamo che Severa, giovinetta romana di 14 anni, fu martirizzata nei pressi di Civitavecchia, al tempo dell’imperatore di Roma Claudio II° (268 – 270 d. C.).

Nella prima metà del XVIII° secolo  la chiesa fu quasi in completa rovina e nel 1763 dalla Curia Vescovile di Ales fu messa nel novero delle chiese da demolire e quindi dissacrata. Ma gli abitanti di Gonnosfanadiga vollero restaurarla e restituirla al culto ed ottennero per tali intenti il beneplacito del nuovo vescovo mons. G. M. Pilo. Nel 1797 il tempietto appariva di nuovo splendido, anzi ancor più bello perché adornato della graziosa cupola. Attualmente è tenuta in ottimo stato, anche per effetto dell’ultimo recente restauro, a 200 anni dalla sua ricostruzione.

Ed è lì che tutti i lunedì di Pasqua si danno appuntamento tantissimi “gonnesi” e forestieri dei paesi vicini e lontani. Per gli abitanti di Gonnosfanadiga la chiesa e la festa assumono un immenso valore storico, religioso e d affettivo, una unione sacra tra popolo, chiesa e Santa, resa ancor più sublime dalle tante donne gonnesi, che portano il nome di Severa.

La chiesa e la festa sono ricordate con toni appassionati e poetici dal parroco mons. Cabitza, nel suo bollettino del 14 aprile del 1934: “ Veramente graziosa, tra il verde fogliame degli alberi la nostra chiesetta di Santa Severa! Quando la festa annuale non la circonda di popolo, di grida e di canti, se ne sta silenziosa e solitaria a guardare le aride rocce che declinano fino al fiume e custodiscono la leggendaria orma del passaggio della Santa, da tempo immemorabile; il visitatore è invitato a guardare impressa nella roccia la impronta di un piede umano e di zoccoli di cavallo. Santa Severa venendo dal Cielo, vi sarebbe passata seduta a cavallo, e, discendendo a terra un istante, vi avrebbe lasciato l’impronta del suo piede. Questa leggenda circonda il luogo di una intima armonia e di una consolante poesia. Ma l’ornamento migliore è lo scenario dei monti e dei campi, e,  nel giorno della festa, l’elemento più pittoresco è la variopinta popolare processione”. Sono parole che rimangono nella storia, oltre la leggenda!

A ciò io aggiungo: “Ancora oggi, in questo scenario d’incanto, ove i rintocchi della vecchia campana scandiscono gli anni ed annunciano ai visitanti la festa, che si rinnova di sguardi e di saluti in incontri di giovani e di vecchi…e di bimbi la gioia in numerose frotte, il tempo si è fermato. E quando nel tempietto il celebrante, a mezzogiorno, leva al cielo il calice benedetto, le canne di ferro, del colle disposte sulle pendici in fila, tuonano fragorosamente. In sul meriggio, baldi giovani, di questo ed altri borghi, a gara si cimentano, di schioppo e di cartucce armati. Ma non di sangue o di ferite d’uomini o d’animali è il frutto…ma solo un mucchio di piatti rotti! A suon di cassa poi, nonché di clarinetti, flauti e trombe, si scende in processione al Sacro Cuore: “ Sera martiri gloriosa/ in su celu sublimàda/ de Gesusu vera sposa/ siasta po nosu abogàda/…”( “Severa martire gloriosa/nel cielo sublimata/ di Gesù la vera sposa/sia tu per noi avvocata…”).

Nel programma dei festeggiamenti (in sul meriggio, baldi giovani…) in onore della Santa non può mancare la tanto appassionante e partecipata ( per i cacciatori di Gonnos e dintorni, chiaramente) gara di “tiro al piatto”, che nel 1951 circa, ha sostituito, per diversi motivi, la primitiva gara di tiro al gallo (a sparai su cabòni). Sappiamo che un tempo questa tipica gara era anche nel programma della festa della chiesa campestre di San Cosimo, sita al confine tra il territorio di Gonnosfanadiga e quello di Arbus, ormai ridotta a rudere e dissacrata. Ma non ci è dato di sapere se la gara è nata con i festeggiamenti di San Cosimo o con quelli di Santa Severa. Possiamo comunque affermare con certezza che la manifestazione rappresentava un deterrente per chi avesse avuto la cattiva intenzione di recare disturbo alla festa ed alla popolazione dei vicini centri abitati (leggi: " Gonnos e Dintorni", di Enrico Casti). È opportuno ricordare che i due paesi Arbus e Gonnosfanadiga e un terzo, Serru, scomparso, erano sottoposti a continue incursioni barbaresche.

Della vecchia gara di tiro al gallo è rimasto in me indelebile il ricordo, nonostante avessi solo cinque o sei anni. Il bersaglio, cioè il pennuto, vivo, veniva legato tramite una cordicella ad una pertica di olivastro, opportunamente infissa nel terreno del dolce pendio prospiciente la chiesa campestre. Si sparava col fucile da caccia rigorosamente caricato a palla asciutta, dalla distanza di circa cento metri. La malcapitata bestiola, sentendosi fischiare intorno le pallottole iniziava una frenetica danza, che rendeva sempre più difficile, ai baldi giovani, prenderla di mira. Il tutto suscitava il tifo dei numerosissimi spettatori che con urla, schiamazzi, applausi, risate e battute spiritose allietavano la gara. Questa diventava ancor più esilarante( non certo per il povero cappone)quando la pallottola tagliava la corda ed il pollo se la dava a “zampe”. Era quindi compito dei baldi giovani rincorrere la bestia per catturarla e legarla di nuovo. In mezzo ai cisti del colle si scatenava una frenetica caccia  al ruspante, stavolta a mani nude, perché il gallo non doveva subire alcun danno. Le urla del pubblico salivano alle stelle per quello spettacolo, unico più che raro! La buonanima di mio zio Nino, grande appassionato di questa gara, mi ricordava spesso che, in un episodio simile, un “gallo” particolarmente vivace aveva scatenato tra i baldi cacciatori, lui compreso, una vera e propria bagarre, per cui il “gallo” fu soprannominato Vergingetorige, in ricordo del famoso “Gallo”che diede tanto filo da torcere al grande Caio Giulio Cesare, durante la guerra di conquista della Gallia.

Anche quest' anno (2008), nel programma dei festeggiamenti in onore di Santa Severa, non manca la storica gara, che trova sempre una eccezionale partecipazione di baldi giovani, “provetti” cacciatori: nonostante il giudizio negativo dei soliti invidiosi!   (Giuseppe Concas)

 

Santa Severa di Gonnosfanadiga – la chiesetta campestre.

 

Dagli archivi vescovili della diocesi di Ales apprendiamo (nota di monsignor “Severino” Tomasi): “La chiesa campestre di questa Santa, edificata in un’amena collina a sud ovest di Gonnosfanadiga, è situata in un’antica necropoli romana, ove furono trovate delle tombe scavate nella roccia granitica. Perciò è verosimile che la devozione a questa Santa rimonti ai primi abitanti di quel luogo, convertiti al cristianesimo da predicatori o da semplici fedeli venuti da Roma; poiché tanti ne venivano anche per ragione di commercio, o per lavorare nelle miniere a titolo di castigo inflitto dalle autorità pagane in odio alla fede cristiana. La chiesetta nella sua prima forma non dovette essere molto più ampia o molto più artistica di quanto dimostrino i ruderi di San Pietro di Serru o quelli di Santu Miali (Michele), nelle vicinanze di Sibiri. Nel 1700 fu in condizioni rovinose. E per questo motivo fu nel numero delle chiese campestri decretate alla demolizione con editto vescovile del 13 novembre1763…Ma per Santa Severa i Gonnesi si posero d’impegno a restaurarla tanto è che mons. Pilo ed i vescovi successori approvarono la conservazione della chiesa  e la celebrazione della festa".

 

Il più grande restauro di questa chiesa fu fatto posteriormente, nel 1797, ed è da ritenersi che in quell’anno si sia fatta la volta solida e le due cappelle a crociera e la graziosa cupola, che se non fosse  stata fatta prima che nascesse in Cagliari l’architetto Gaetano Cima (1805 – 1878) direbbesi che la cupola di questa chiesetta fosse stata fatta da lui: tanta è la rassomiglianza dello stile, con quello delle cupole del Cima, fra le quali è la cupola della chiesa di San Francesco in Oristano (1841).

Nel 1873 furono fatti altri grandi restauri alla chiesa e ai portici che la circondano, con l’opera del muratore Antonio Lixi e del figlio Giovanni, per la spesa di lire110,25. Nel 1876 e 1878 furono rinnovate le vesti del simulacro stesso per lire 120 ed abbellito il simulacro stesso per lire 45. Altri restauri furono fatti negli anni 1886 – 1888. Di anno in anno poi è stata fatta una buona manutenzione, sino ai giorni nostri. Per le processioni fu donata nel 1938 una nuova statua di Santa Severa, scolpita dalla ditta Francesco Martinez di  Ortisei. Il dono fu fatto dal signor Raul Buzzo, già proprietario della miniera di Perd’’e Pipera (attualmente sede di un bellissimo Parco Comunale).

 

È del 1997 l’ultimo grande restauro, per progetto e direzione dei lavori dell’architetto Efisio Corongiu.

 

Lo stile attuale della chiesetta è a croce romana, con navata centrale e due pseudo navate laterali, a portico, con copertura in legno e tegole tipo sardo, e crociera con volta a botte e cupola centrale (vedi foto > da mettere).

Sullo stile più antico (d’origine) c’è incertezza: il sottoscritto non è d’accordo sull’originaria croce romana, come è stato ipotizzato in passato, e neppure sull’età della prima struttura, che alcuni fanno risalire al IV° sec. D. C.  Io credo che la prima chiesa risalga al periodo bizantino, quindi all’arrivo dei monaci greci in Sardegna (dall’inizio del VI° secolo, come arrivo spontaneo e dalla fine del VII° come arrivo forzato, in seguito alla conquista araba della Africa mediterranea); ne fanno fede le altre numerose chiese bizantine sparse nel territorio di Gonnosfanadiga, delle quali restano soltanto i ruderi. Un simile esempio lo troviamo nella chiesa di Santa Maria di Guspini. Sappiamo inoltre che la chiesa romana subentrata a quella greca, abbandonò le chiese bizantine e là dove si rese necessario, sostituì la croce romana a quella greca. A nostro giudizio quindi la prima pianta della chiesa era a croce greca edificata dai monaci bizantini in onore della Santa romana, martirizzata a Civitavecchia nella data indicata (268 -270 d. C.). Il cui culto potrebbe essere quindi arrivato da Cartagine, o verso la fine del V°, inizio del VI° sec.o all’inizio del VII°, con i monaci bizantini, pur non trattandosi di una Santa del menologio greco. Sappiamo inoltre che, per volontà di Diocleziano (imperatore romano dal 284 al 305 d.C.), Cartagine fu luogo di residenza forzata per i Severi, gens romana tra le più potenti, ma accusata di filo cristianesimo. Per noi quindi il culto di Severa è arrivato da Cartagine con i monaci greci ed anche la chiesetta di Santa Severa, come tutte le altre chiese bizantine, della quali restano solo i ruderi, fu costruita la prima volta da loro. A fondamento della mia ipotesi un elemento decorativo emerso dall’ultimo restauro: l'architetto Efisio Corongiu, col quale ebbi occasione di scambiare il parere, durante l’ultimo restauro, fu compiacente di avvisarmi, invitandomi ad una visita in loco, che nell’opera di ripristino della parete esterna destra della navata centrale era apparso un masso, probabilmente appartenente alla primitiva struttura dell’edificio e rimesso in opera in seguito, ma con decorazione chiaramente bizantina: che tuttora si può osservare ad occhio nudo. Si tenga presente infine che le chiese di San Cosimo e di Santu Miali (San Michele), citate in premessa erano bizantine.

 

Una considerazione a parte merita l’antica campana, che probabilmente fu donata a Santa Severa dalla Parrocchia di Santa Barbara nel XVIII° secolo. Ma è per la sua età che appare interessante; a parte il fatto che è di ottimo bronzo, reca la scritta: “ANNUS DOMINI MCCCXXXVIII” (ANNO DEL SIGNORE 1388). Solo in occasione della festa viene sistemata nel piccolo campanile della chiesetta, per il resto giace nei locali della sacrestia della chiesa del Sacro Cuore (vedi foto).

 

Il piccolo simulacro della Santa, quello più antico,  è depositato nella nicchia soprastante l’altare. È bellissimo, nonostante sia corroso dal tarlo: è ricavato, infatti, dal tronco di un perastro, abbondante nel posto, ma la scultura è particolarmente delicata da suscitare meraviglia. Per comune credenza sarebbe peccato toccare la statuina o spostarla dalla nicchia, ma è solo frutto della fantasia della gente. Io personalmente l’ho spostata dalla nicchia per fotografarla( non nascondo che prima le ho chiesto scusa, per rispetto, non per superstizione) e portandola in mano non ho provato sensazione alcuna, ho solo sentito che la sua struttura era piena di buchi per opera dei tarli. Ho comunque fotografato la statuina(vedi foto). E nonostante avessi una vecchia Kodak, e con il quasi buio intorno ne è uscita una bellissima fotografia (foto da aggiungere): chissà perché!  (Giuseppe Concas)

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