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ZZLa Carta De Logu di Eleonora d'Arb. A

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LA CARTA DE LOGU Di ELEONORA D'ARBOREA PRIMA PARTE  (introduzione + CAPITOLI I° -  XLI°)

OSSERVAZIONI SU UNO DEI PIU' ANTICHI DOCUMENTI DELLA STORIA, DELLA CULTURA E DELLA LINGUA SARDA:

Si tratta della Costituzione promulgata da Eleonora Giudicessa di Arborea, predisposta dal di lei padre Giudice Mariano IV° e redatta, in parte, dal Giurista Filippo Mameli "dotore de lege", del quale rimane un'iscrizione funeraria nella Cattedrale di Oristano "IOBIA... VIII DE MAIU DE MCCCXLIX" = giovedì 8 maggio del 1349.

Tra le sette antiche traduzioni della Carta, riteniamo sia la più prestigiosa quella del Cavaliere Don Giovanni Maria Mameli De' Mannelli, patrizio di Cagliari, edita in Roma nel MDCCCV (1805) presso la tipografia Antonio Fulgoni.

la Carta sul frontespizio porta: "A LAUDE DE JESU' CRISTU SALVADORI NOSTRU ED EXALTAMENTU DESSA JUSTICIA". 

La promulgazione della Carta, che si articola in 198 capitoli, risale al 1395, giorno di Pasqua. 

Qui iniziamo un'analisi dei 198 capitoli della Carta, tenendo conto non certo delle pretese degli esperti di storia, di lingua e di legge, bensì delle esigenze dei visitatori del sito, nei quali si mischiano insieme la voglia di cultura e la curiosità ed anche il tentativo di "accostamento" alle attuali "Costituzioni" vigenti nelle varie parti del mondo. Sono trascorsi quasi 6 secoli e la Carta de Logu di Eleonora d'Arborea non è poi, nella sua sostanza, tanto lontana da noi. Facciamo inoltre una riflessione sul fatto che si tratta dellla Prima Vera e Propria Costituzione Scritta del Medio Evo, a parte la famosa Magna Carta Libertatum di Giovanni Senza Terra re d'Inghilterra, deol 15 giugno 1215, che sanciva alcuni nuovi rapporti tra il Re ed il popolo e soprattutto tra il Re e la nobiltà inglese (vedi nel Web).

Il primo e secondo capitolo della Carta si riassumono così: " Chiunque offenda o rechi danno di qualsiasi entità o forma ai signori di Oristano, sia portato in catene o trascinato da un cavallo sino alla forca e lì venga impiccato finchè muoia e tutti i suoi beni passino di propietà de Regno: "Infini a sa furca e innìa s'infurchit, ch'indi morgiat et issos benis suos totu siant appropriados a su Rennu". Il reo perdeva quindi tutti i beni, a vantaggio dellla Corte. Ma nel caso in cui il condannato o la condannata risultava sposato/a alla Sardesca ( a sa sardisca), metà dei beni rimaneva al coniuge - "ch' in casu su dittu traitori havirit mugeri (o viceversa) ed esserit ed esserit coyadu assu modu Sardiscu, sa ditta mugeri (o viceversa) happat sa parti sua senza mancamentu alcunu". E se il reo ha figli da precedenti mogli, questi abbiano la spettante parte , senza che manchi niente. Lo stesso s'intenda per i creditori, purché il debito sia stato contratto dal reo prima del delitto.

In questi due capitoli si fa riferimento al matrimonio alla Sardesca (assa Sardisca). Si tratta del matrimonio con la comunione dei beni: cioè di tutto ciò che diventa patrimonio dopo le nozze, per parte dell'uno e dell'altro coniuge, compresi i frutti dei beni che l'uno e l'altro avesse o successivamente per eredità, donazioni od altro, esclusi quindi i beni posseduti prima del matrimonio.

Il terzo capitolo prevede che l'assassinio premeditato sia punito col taglio della testa (siat illi segàda sa conca); aggiunge poi in lingua latina: agentes et consentientes pari pena puniuntur = autori e mandanti sono puniti con la medesima pena. L'assassinio non deliberato, ma per causa fortuita (preterintenzionale) > pro causa fortuabili viene rimandato al giudizio dei magistrati. 

Nel capitolo quarto, chi ammazza una persona col suo cavallo, sia menandolo a mano, sia correndo, in qualsiasi luogo > in via, in campu, in silva o in ateru logu, sia ucciso pure lui se l'assassinio è stato fatto deliberatamente. Se nell'omicidio non c'è volontà, sia messo in prigione, nell'attesa di giudizio > si nollu havirit mortu a voluntadi cosa sua, siat in arbitriu nostru dellu cundennari pro sa ditta morti.

Al capitolo cinque, chi volutamente da del veleno ad altra persona, della quale causa la morte, sia impiccato; se il reo invece è femmina, sia arsa viva (... chi hadi fattu dittu mali, siat infurcadu, ch'indi morgiat;...e si esserit femina, siat arsida viva...). Se il veleno non causa morte o altro danno, al reo sia tagliata la mano destra, senza scampo alcuno.

Al capitolo sesto: quando una prsona  viene uccisa  in paese altrui (in villa de foras) o nel suo territorio, i rappresentanti di giustizia di quel paese, devono catturare e consegnare il reo entro un mese di tempo. Se ciò non avviene i giuratidi detto villaggio paghino 200 lire di multa, se si tratta di grosso villaggio (villa manna), 100 lire se piccolo villaggio (villa picci(n)a). Il reo se non viene catturato è dicchiarato bandito e le sue sosrtanze tutte, confiscate , per metà se ha moglie, e lo stesso vale per i figli, da precedenti matrimoni. Chiunque ammazzi un bandito non paga pena alcuna. Al bandito catturato viene mozzata la testa (...si venerit in forza nosta , siat illi tagiàda sa testa ...ogni persona pozzat illu offendiri e darilli morti senza incurreri in pena , nè machicia (multa). 

Capitolo settimo: quando un bandito viene in un villaggio del nostro territorio deve essere catturato e consegnato alla giustizia o altrimenti quel villaggio pagherà alla Corte 50 Lire se si tratta di villaggio grande (villa manna), 25 Lire se si tratta di villaggio piccolo (villa piccia). Il maggiore del villaggio (majore = sindaco, rappresentante di giustizia) pagherà personalmente alla Corte 10 Lire e ciascun giurato (jurato) 5 Lire. Chiunque aiuti un bandito pagherà alla Corte 100 Lire: ne sono esclusi la moglie, i figli, i genitori, i nonni, i fratelli e i cugini in primo grado (carralis) (...e si alcunu homini dessa ditta villa illu sbandidu recivirit e recettarit e darit illi consigiu, ajuda o favori...paghit a su Rennu liras centu).

Capitolo ottavo: qunado un uomo, da se stesso, si da la morte deliberatamente (dess'homini chi si occhirit issu stessu () appensadamenti), deve essere trascinato e messo alla forca nello stesso luogo in cui si è suicidato e tutti i suoi beni siano sequestrati sino a nostra decisione (naturalmente, se era sposato a sa sardisca, la metà dei beni veniva lasciata ai diretti parenti: vedi cap. 2°)... (et iss' hofficiali de cussa villa deppiat fagher iscriviri totu sos benis suos infini ad ateru cumandamentunostru); e per investigare sulle cause della morte...(pro iteu cuss'homini si hat a essere mortu)...In base all'inchiesta si decida che fare dei suoi beni...(pro consigiari nos de cussu chi hamus a fagheri dessos dittos benis.

Nota 1°:  issu stessu > qui da noi, in Campidano, diciamo comunemente issu e totu o a si e totu.

Capitolo nono: se uno ferisce o mutila a colpi un'altra persona (si alcunu homini hat a ferrer atteru de ferru fusti o perda o manu), con versamento di sangue, senza mutilazione, paghi al Regno (assu Rennu) Lire 25 e se non paga sia fustigato a terra > siat iscovadu peri sa terra (). Per la ferite al viso, delle quali rimane il segno, paghi 50 Lire; se dopo la sentenza non paga, gli sia fatto un segno identico e nella stessa parte del viso. Se la ferita non è causata deliberatamente , decideranno i giudici. Se la ferita causa perdita di arto o parte del corpo, chi la causa perda la stessa parte parte o arto del corpo (occhio per occhio)... e si pro alcuna dessas feridas s'indi perderit membru de modu chi su membru s'indi andarit a terra , over ch'indi esserit semmu perdat su simigianti membru, e pro dinari nexunu non campit ( non si può rimediare pagando). Se l'arto principale è debilitato ( ad esempio un braccio), paghi 100 Lire senza condono alcuno. se non si tratta dell'arto principale, paghi da 100 Lire in giù, a secondo del nostro giudizio. E' esclusa da pena la legittima difesa, però se provata... s'illu faghit defendendo a se e provarillu legittimamenti, chi nondi siat tentu a pena alcuna. Per piccole offese, prese ai capelli, mani addosso, senza versamento di sangue, paghi 3 Lire al Regna e 6 Lire se si tratta di persona di qualità, e se non paga, stia in prigione a nostra volontà...e si non pagat istit in pregioni a voluntadi nostra. Salvo che si tratti di parente stretto, ad esempio, se un padre o una madre, o uno zio, o un fratello maggiore, bastona per castigo un parente minore, non paga... ed in cussu attu non paghit pena alcuna e pena alcuna non paghit s'illi bogarit sanguni dae sa bucca, over dae su nasu, over s'illu scarrafiarit in sa facci o in atera parti de sa persona sua, chi dannu nondi havirit (senza gravi conseguenze).

Nota 1° siat iscovadu perì sa terra (sia scopato a terra): non bisogna fraintendere! In effetti la scopa sa sovua, che si usava per punire corporalmente il reo era un attrezzo micidiale, ricavato generalmente da un robusto ramo di olivastro "a forcella" unita nelle estremità ed intrecciata con altri rami, sempre di olivastro, proprio come una grossa racchetta da tennis, a maglie larghe. Il condannato veniva messo a pancia a terra , a schiena nuda, e fustigato selvaggiamente: non si trattava senza dubbio, di una cosa piacevole. Questo micidiale attrezzo lo si usa ancora nella caccia di frodo notturna, soprattutto per le allodole, le quaglie e le pernici, con la forcella sempre in olivastro, ma intrecciata a maglia con robusto fil di ferro. Questo metodo di caccia di frodo lo si chiama comunemente > cassai a scovua.

Capitolo XI°: per le aggerssioni con o senza mano armata. Se uno aggredisce un'altra persona in casa sua o nella sua terra con un arma   e le causa danno ficico, paghi cento soldi; se non le fa male paghi 50 soldi... Se senza arma paghi tre Lire se causa male , se non causa male (alla persona s'intende) solo per averla assalita paghi trenta soldi. Se l'aggressione avviene in altri luoghi, se causa male paghi 40 soldi, se non causa male paghi 30 soldi...e si nolla offenderit paghit po s'assighida soddos trinta. 

 Capitolo XII° > Nel caso in cui uno viene gravemente ferito: Se una persona viene ferita in modo grave, tanto da dubitare di morte, il feritore deve stare in galera fino a che il medico o i medici sciolgono la prognosi... infini a candi su meygu, over meygos hant a narri per sagramentu issoru, chi cuss'homini feridu siat foras de perigulu de morti pro cussa ferida. Stia in prigione per sessanta giorni. Se entro sessanta giorni il ferito non muore, sia liberato il delinquente dalla condanna a morte e paghi però per la ferita la multa allla Corte ... ed in casu chisu feridu per avventura morrerit infra su dittu tempus de sessanta dies pro mala cura e guardia o pro culpa sua ed avendolu lassadu su meygu foras de dubitu, chi cussu delinquenti nondi morgiat, ma paghit sa machicia (multa) pro sa ferida segundu chi est naradu de supra (come sopra è detto).

 Capitolo XIII°. Grassazioni o furti compiuti in strade pubbliche (1°) > Chi ruba deliberatamente in una strada pubblica, venga impiccato sino a che morte sopraggiunga, nello stesso luogo, in cui ha compiuto il misfatto…chi si alcuna persona esserit tenta pro robaria de strada publica ed est indi binchida (colto sul fatto o indiscutibilmente provato), siat impiccàda ch’indi morgiat, in cussu logu, hui hat a haviri fattu sa robarìa. Chi ruba in strada di paese (villaggio) o in campo o in salto (2°), sia condotto dagli uomini di quel villaggio alla Corte e paghi 200 Lire, per cui ha 20 gironi di tempo dalla sentenza. Se il reo non paga o altri per lui, venga impiccato. E se gli uomini di quel villaggio non lo catturano, lo stesso villaggio (villa – bidda), se si tratta di villa grande, paghi 50 Lire, 25 se villa piccola (3°) Il ladro non catturato è considerato un bandito ed in caso di cattura paga alla Corte 200 Lire ( sempre se si tratta di strada non pubblica) e se non paga sia impiccato ed i suoi beni siano confiscati (sempre tenendo conto della metà del coniuge, se sposato/a a sa Sardisca)…> e siat isbandidu dae sas Terras Nostras; e si per alcunu tempus vennerit in forza nostra paghit sa segunda pena…e si non pagat siat justiciadu…<.

 Note: (1^) Vi era una differenza tra le strade pubbliche e le strade dei paesi ed interpoderali. Le strade pubbliche o reali erano di grande importanza per i traffici commerciali ed anche per tenere alti e rispettabili i colori della Corte. (2^) In campo o in salto > Si noti la differenza tra campo, inteso come luogo pianeggiante ed aperto, generalmente seminato e salto, come luogo collinoso o ricoperto di macchia e tenuto per lo più a pascolo. Ho già manifestato i miei dubbi sulla etimologia del sardo sa(t)tu, che molti studiosi fanno derivare dal latino saltus, come luogo selvoso e non dal verbo latino sero – is – satum – ere = seminare o da sata – orum = campo seminato. Per il sardo sa(t)tu io propongo quest’ultima versione. (3^) > Per chiarire la differenza tra bidda manna e bidda picci(n)na: villa manna quando contava più di 200 famiglie o fuochi; villa piccinna, meno di 200 fuochi.

 Capitolo XV° > Se il delinquente viene catturato in altro luogo. Se il delinquente è catturato dall’ufficiale (1°) del luogo dove è stato compiuto il misfatto o dagli uomini di altro villaggio di Contrada della nostra giurisdizione, che il paese o la Contrada sia libera dal versamento della seconda multa di 200 Lire. E se l’ufficiale del luogo dove si è rifugiato il reo non da il suo appoggio all’altro ufficiale per la cattura, paghi lui la detta multa…> e si s’Officiali innhui esserit sa persona, chi havirit fattu su maleficiu, non darit su brazzu suo e favori ad icuss’ Officiali, over personas, ch’illu rechederint, siat condennadu a sa ditta machicia (multa) <.

 Nota 1°: l’Ufficiale era il responsabile del villaggio e doveva rendere conto del suo operato alla Corte. Qui bisogna fare una distinzione tra la carica di Ufficiale semplice e quella di Mayori: l’Ufficiale semplice era responsabile di un villaggio (villa), il Mayori di una Contrada o gruppo di villaggi. Quest’ultimo è detto in certi casi Armentario.

 Capitolo XVI° > La nomina dei giurati per ciascun paese > Nelle ville Grandi (biddas Mannas) le giurie siano composte da 10 giurati; nelle piccole (piccinas) da 5. Siano scelti gli uomini migliori a giudizio dell’Ufficiale. I Curatori riportino alla Camera l’elenco dei giurati, villaggio per villaggio, uomo per uomo nel tempo che trascorre dal giorno della elezione al giorno di San Pietro di Lampadas (29 giugno); in caso di non ottemperanza c’è la pena di 8 Lire alla Corte. I giudici devono giudicare imbrogli e furti, che sono fatti nel villaggio o nel suo territorio e tenere in prigione i malfattori per poi trasferirli alla Corte e se non li catturano, i giurati paghino alla Corte 20 soldi ciascuno…(1) > sos qualis deppiant probari sas largas e furas, chi si faghint in sa villa o in s’aydacioni dessa villa e tenni sos malefattoris e battirillos a sa Corti e si nollos tenint, paghint sos Jurados soddos vinti pro ciascadunu. Nel caso in cui il prigioniero riesca a provare la sua innocenza e a dimostrare che il delinquente è altra persona , i giurati che hanno sbagliato non paghino la multa, ma la paghi la persona contro cui sono le prove del furto: chi viene catturato deve provare la propria innocenza entro un mese di tempo; similmente i Giurati sono tenuti a raccogliere le prove e ad informarne la Corte (seguono le modalità dell’inchiesta >v. cap. XVI°) > e si cussa persona chi esserit dada de is Jurados bolerit provari chi attera persona haverit fattu sa ditta fura … chi siat libera e cussa persona a chi contra esserit provadu, siat constritta a pgari sa machicia (multa) e issu Mayori e Jurados non siant però condennados…ma paghit sa machicia cussu a chi hat contra a esser provadu e sa quali prova, sa chi esser dadu …deppiat monstrari infra unu mesi e similmente siant tenudos de fagheri iscriviri e colliri totu sas ragionis dessu Rennu, quantu si debit colliri…

 Nota (1): soldo = soddu. Un soldo era l’equivalente di dieci centesimi o un decimo di lira. La moneta di 5 centesimi era sa sisinna o tres arrialis. Due soldi e una sisinna = 25 centesimi erano mesu pezza. La moneta di cinque lire = cincui francus ( in argento) era unu scudu. Per indicare una cosa, un animale, una persona di poco valore, si dice ancora oggi: “ No ballit un’arriali”!   >segue ...

 Capitolo XVII° - I curatori e gli altri giurati del villaggio sono tenuti ad indagare, almeno una volta la mese, su uomini e luoghi sospetti.  Inoltre per due volte al mese essi devono indagare sui commercianti e negozianti: > e siant tenudos de chircari sas domos dessos mercadantis e negoziantis, chi hant a esser in villa, duas voltas in su mesi. Quand’anche fossero assenti dal villaggio alcuni curatori o giurati, i rimanenti dovranno comunque svolgere l’indagine al completo. Nel caso di negligenza il curatore paga alla Corte la multa di cento soldi: il Maggiore (sindaco, responsabile dell’amministrazione politica, sociale, economica e giudiziaria) del villaggio è multato di 40 soldi e i giurati (collaboratori diretti del sindaco) negligenti pagano la multa (machicia) di 20 soldi.

 N.D.R. La non indifferente severità nei confronti di commercianti e negozianti, nonché curatori e giurati negligenti, era tesa a sventare il commercio di bestiame e di merci rubate.

 Capitolo XVIII° - Le pelli (corgios) di animali che risultano rubati.  Qualora i curatori (majores) ed i giurati (jurados) trovino in una casa la pelle di un bue o di una vacca o di un cavallo o di un puledro, il padrone della casa deve dimostrare che non è rubata. Se no, il ladro sia preso, portato alla Corte e paghi quanto questa ordina > su furoni siat siat tentu e battidu assa Corti e paghit segundu su chi narat sa Carta de Logu.

 N.D.R. Il termine corgios che noi in Campidano (1) chiamiamo comunemente su cròxu solo raramente, ma spesso peddi o pedde, deriva dal latino corium, inteso proprio come cuoio degli animali: in greco κόριον (còrion). Nota 1^ : si rammenta che la lingua della Carta è l’Arborense, che è la madre del Campidanese.

 Capitolo XIX° - Su pregontu = l’inchiesta.  N.D.R. Sono ancora in uso in molte parti della Sardegna espressioni del tipo: sa justitzia ti pregontit o ti pregonit = che ti mandino un avviso di garanzia, che tu sia indagato, etc. Pregonit viene dal latino praeconari ( pregonare/ai = bandire) e praeconius = banditore è un suo derivato. L’inchiesta viene condotta dagli ufficiali del Regno (una specie di polizia federale) tre volte l’anno: per la Corona di Luogo di San Marco, di San Nicola e per la Corona di Palma (Corona = Tribunale) sulle ruberie e sui misfatti del villaggio o del territorio del villaggio > indi pozzant fagheri ragioni assa Camara tres voltas s’annu, zò est pro sa Corona de Logu de Santu Marcu, pro sa Corona de Logu de Santu Nicola e pro sa Corona de Palma, pro sas furas e sas largas chi s’hant a fagher in sa Villa o in s’aydaciòni dessa Villa. Possibilmente le risultanze dell’inchiesta devono essere riportate per iscritto > de battiri per iscrittu su pregontu (indagine). N.d.R. Si tratta di tre date distribuite nell’arco dell’anno, partendo da San Nicola, 6 Dicembre, considerando che l’anno agricolo ed amministrativo cominciava a settembre (Cabudanni), Le Palme, Marzo – Aprile ed infine San Marco, il 25 Aprile, che però è molto vicino alle Palme! Di certo sappiamo che le Corone erano riunioni molto importanti nella vita amministrativa e giudiziaria del Regno (Giudicato) d’Arborea.

 Capitolo XX° : Come deve essere condotta l’inchiesta. > - de provari ed investigari sas furas e largas…ed issas machicias chi s’illoy hant a fagher in sas dittas Contradas e battiri (portare) s’iscrittu tres voltas s’annu in sa Camara nostra… pro ciò volemus creder - < Di provare ed investigare sui furti e violenze e sulle multe che siano fatte in dette Contrade e di portare per iscritto 3 volte l’anno, alla nostra Camera il resoconto. L’indagine viene affidata all’ufficiale di Corte, che ha il dovere di chiedere (pregontit) ai giurati dei villaggi infeudati (villas affeàdas) sulle multe, soprattutto quelle di “sangue” (sambene) (= multe per violenze con versamento di sangue), chi s’illoy appartenint assa ragioni nostra (villaggi infeudati sulla base di concessioni territoriali). Nota: il testo riporta spesso il verbo battiri = portare; si dice inoltre battugere, che deriva dal latino abducere, nel significato appunto di trasportare da, a; con metatesi ab > ba.

 Capitolo XXI° > della violenza contro le donne. Se un uomo violenta una donna maritata, o altra donna che sia giurata (promessa sposa… > si alcunu homini levarit per forza mugèri coyàda o chi esserit juràda < ; o usi violenza a donna vergine… > o isponxellarit (1^) alcuna virgini… per la donna sposata paghi Lire 500 e se non paga entro 20 giorni dal giorno della sentenza, gli sia tagliato un piede, in modo che lo perda (2^)… per la donna non sposata paghi Lire 200 e sia obbligato a sposarla (in caso di ripudio da parte del fidanzato = juràdu) e purché piaccia alla donna, o altrimenti la donna (violentata) riceva una dote adeguata alla sua condizione sociale in modo che possa trovare marito. Se entro 20 giorni da quello della sentenza non paga gli sia tagliato un piede (vedi nota 2^)… simile pena anche per la violenza ad una vergine. Nota 1^: isponxellari significa propriamente togliere la verginità. Deriva dal catalano esponcellar. Nel logudorese antico c’è il termine poncella o puncella, nel significato di vergine = pulzella: termine comune a tutte le lingue neolatine; infatti in latino esiste il termine pulcella o pulchella , nel significato di graziosa, non proprio vergine,che invece trova riscontro in virgoOsservazioni: cambiano i tempi ma le usanze restano, soprattutto quelle peggiori > tempora mutant, manent mores, praecipue dissoluti. Anche nella Carta De Logu ( esempio di giustizia che suscita molti dubbi), l’uomo violento che aveva soldi per pagare, poteva evitare pene molto più severe!

 Nota 2^: La pena oltremodo severa del taglio del piede, a discrezione del Giudice, veniva mutata in dieci anni di carcere.

 Capitolo XXII° > Nel caso in cui un uomo entra con forza nella casa di una donna sposata… e sia colto sul fatto … e non le abbia usato violenza carnale … e riconosca la sua ingiusta azione, sia condannato a pagare una multa (machicia) di cento lire , entro 15 giorni da quello della condanna e se non paga gli venga mozzato un orecchio, interamente > seghiltilli un’oricla tota. (Anche questa pena , ritenuta troppo severa , fu mutata in carcere, secondo la volontà del giudice). Nel caso in cui l’uomo è invitato dalla donna per sua volontà e siano colti sul fatto, la donna sia malmenata e fustigata e perda tutti i suoi beni e le sue doti, a vantaggio del marito tradito > siat affrastàda e fustigàda ed ispossessida dessos benis suos totu e dessa raxonis suas gasì de dodas; l’uomo invece non venga frustato, ma paghi, entro 15 giorni dalla condanna cento lire e se non paga gli sia mozzato un orecchio interamente. Da questa condanna sono escluse le pubbliche meretrici. Nel caso in cui la donna sposata si reca a casa di altro uomo, o in altra casa , che non sia il suo domicilio, sempre con uomo, che non sia il marito, se colta sul fatto, sia malmenata e frustata e perda tutti i suoi beni, così come detto innanzi, e l’uomo paghi la multa di 25 lire, e se non paga subisca quanto prima detto … ut supra.  

 Capitolo XXIII° > Quando un uomo convive con donna sposata contro il volere del marito e questi la chieda indietro con insistenza, ma inutilmente. Quell’uomo paghi la multa di lire cento, entro 15 giorni dalla sentenza e se non paga gli venga mozzato un orecchio e la donna sia condannata alla fustigazione e alla perdita dei suoi beni, come sopra è detto > ut supra.

 Capitolo XXIV° > Del caso in cui uno si reca ad una Festa o ad una Sagra armato ( Era severamente proibito recarsi armati alle Feste Popolari o Religiose > non bie deppiat portari arma peruna. Se un uomo viene sorpreso armato in una Festa o in una Sagra, paghi la multa di 25 lire e gli venga confiscata l’arma. I Curatori ( curatores et majores, ed i sindaci: erano responsabili anche dell’ordine pubblico), con i loro uomini (juratos : guardie giurate) sono tenuti alla più stretta vigilanza ed a portare l’eventuale trasgressore legato alla Corte. Nel caso in cui il Curatore o il majore non rispetti l’ordinanza, paghi la multa di lire 10.

 Capitolo XXV° > Contro la falsificazione di Carte Bollate o altri Documenti. Se una persona presenta una domanda in Carta Bollata, cioè col sigillo della Corte, o altre carte scritte: Condaghi (N. 1^), Registri ed Atti Contabili, che risultino false e chi le presenta ne è cosciente, sia egli catturato e portato in prigione e da noi giudicato. Sia condannato anche il notaio che ha scritto carte false a pagare la multa (machicia) di lire cento e se non paga entro un mese dalla sentenza, gli venga tagliata la mano destra > tagintilli sa manu destra ( anche questa pena, ritenuta troppo severa , veniva commutata in altra più leggera a discrezione del Giudice); il notaio falsario perde comunque l’ufficio notarile > ed icussu Notayu plus non deppiat usari s’officiu dessa nodarìa. Nota n. 1 > I Condaghi sono tra i libri più antichi della Lingua Sarda. I più famosi sono: Il Condaghe di San Pietro di SilKi, Il Condaghe di San Nicola di Trullas, il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, il Condaghe di San Michele di Salvennor, del quale abbiamo però la copia in lingua spagnola medievale e non l’originale in lingua sarda. Il significato di Condaghe è di raccolta di atti, donazioni, permute ed altro. In greco antico τάκιον (contàchion) ha il significato di tomo, volume, libro, raccolta di scritti. Non dimentichiamo poi che in latino il verbo condere ha il significato di fondare, quindi Condaghe = Fondazione, ad esempio di un Santuario o anche di una Associazione, etc.

 ORDINAMENTI CONTRO I FURTI DEL BESTIAME E LE ALTRE VARIE RUBERIE.

 Capitolo XXVI° > Contro chi ruba oggetti sacri, paramenti, libri, calici. Se il reo viene scoperto e confessa e si tratta della prima volta che ruba, paghi alla Chiesa 5 volte tanto il valore dell’oggetto rubato ed alla Corte la multa di 50 lire: Dal primo furto in poi il reo paghi con la forca > e dae sa fura primargia innantis, siat impiccàda chi 'ndi morgiat e non campit pro dinari <.

 Capitolo XXVII° > Chi ruba un cavallo domato o una puledra domata o un bue domato: De chi furat cavallu over ebba domàda over boi domàdu ( a sa fura primargia). Se la bestia è di proprietà della Corte, il reo paghi 10 volte tanto il valore della bestia o delle bestie rubate e lire 25 di multa (machicia). Se l’animale rubato è di proprietà della Chiesa o d’altra persona privata, il reo paghi 5 volte tanto il valore della bestia o delle bestie e 15 lire di multa e se non paga gli venga mozzato un orecchio; dopo il primo furto sia impiccato - > e dae sa fura primargia innantis affurchintillu, ch’indi morgiat <.

 Capitolo XXVIII° - Per il furto di bestiame non domato, o asino (molenti). Se si tratta di animale appartenente alla Corte, il reo paghi 10 volte tanto il valore ( vedi quanto sopra). Al secondo furto al ladro viene mozzato l’orecchio: dal secondo furto in poi è prevista l’impiccagione.

 Capitolo XXIX° - Per il furto di pecora, porco o capra. Se si tratta del bestiame della Corte, il ladro paghi 10 vo9lte tanto il valore dei capi rubati. Se si tratta del bestiame della Chiesa o di Privati, paghi 5 volte tanto e per il furto paghi di multa (machicia) alla Corte 15 lire > e paghit pro sa fura primargia liras bindighi de machicia (vedi nota) e si non pagat seghintilli un’oricla…Al secondo furto al reo, se non paga viene mozzato il secondo orecchio, e dal terzo furto è prevista l’impiccagione > e dae sas duas furas insusu affurchintlla, chi ‘ndi morgiat. Se il numero dei capi rubati supera i 5 è prevista l’impiccagione già dal secondo furto. > e intendetsi de impiccari dae chimbi pegus insusu e dae chimbi injossu paghit segundu de supra > come sopra detto. N.d.r. > bindighi = 15 in Logudorese; cuindixi in Campidanese; quindecim in latino = quinque + decem. Così anche battorighe (14) in Logud. Cattodixi in Campid. Quattuordecim in latino. Battoro (4) in Logud. Cuattru in Campid. Quattuor in latino (τέτταρα - tettara in greco). Idem 40 > baranta in Logud. Coranta in Campid. Quadraginta in latino. Il termine baranta (40) è diffuso nella toponomastica di tutto il territorio della Sardegna. Per i nessi latini “qu” e “gu” compare il nesso “b(b)” in tutte le varianti della lingua sarda. Oltre ai numeri vi sono tanti altri esempi, come aqua > abba; lingua > limba; equa > ebba; sanguen > sambene; anguilla > ambidda; etc. La lingua sarda nei tempi antichi era molto più unita di quanto non lo sia oggi: lo apprendiamo dai documenti antichi, come ad esempio i Condaghi, La Carta de Logu, gli Statuti Sassaresi.

Ancora su “Ordinamenti contro i furti di bestiame e le altre ruberie”

 Capitolo XXX° > Per chi ruba un cane da caccia o da guardia. > de chi furarit cani de loru, over jagaru<(1°)Se il cane rubato è di proprietà del Regno (Corte), il ladro paghi, entro 15 giorni dal processo, 10 volte tanto il valore della bestia rubata. Se appartiene alla Chiesa o a privati, il ladro paghi 5 volte tanto: in ogni caso c’è sempre da pagare lire 5 di multa (machicia) per il reato. Nota ( 1^)primo: cani de loru, è il cane da guardia, solitamente legato. Loru deriva dal latino lorum, che significa correggia o striscia o cinghia di pelle, che è detta anche sa lorìa. Per i legionari romani, la lorica era la corazza, confezionata con strisce di cuoio, talvolta rinforzata con scaglie metalliche. Il verbo sardo alloriài significa incantare, confondere le idee, impappinare con giri di parole: seu totu alloriàu = ho le idee completamente confuse, come se fossi legato da tante corregge (psicologiche!). secondo: Jagaru è il cane da caccia, o meglio da seguita: il segugio > è un termine diffuso in Corsica e deriva dal basco zakur = cane. Ancora oggi molti cacciatori dell’area del Monte Linas chiamano Jagaru il segugio usato per la caccia al coniglio e soprattutto al cinghiale (il bigol – beagle)). N.d.R. Per il furto di un cane, nella Carta de Logu, la punizione era abbastanza severa, ma più avanti nel tempo, 1881, nella Francia Repubblicana, il primo ministro francese Gombetta Leon, di origine italiana, grande oppositore del regime napoleonico, istituì una punizione alquanto originale per i furti di cani (Discours et Plaidoyers politiques): il cane rubato veniva condotto nella pubblica piazza insieme al ladro, con la gente numerosissima in cerchio; per tre volte il cane veniva portato in giro e per altrettante volte il ladro doveva baciargli il culo!

 Capitolo XXXI° - contro chi ruba le arnie delle api > de chi furarit ortu de abis… Chi ruba arnie paghi 10 volte tanto il valore del furto e alla Corte (di multa – machicia) 100 soldi entro 15 giorni dalla sentenza; e se non paga gli venga mozzato un orecchio.

 Capitolo XXXII° - per chi ruba cereali già mietuti o da mietere > de chi furarit laori (1^), messàdu over a messàri. Il reo paghi 10 volte il valore del furto, se di proprietà della Corte, 5 volte tanto se di proprietà della Chiesa o di privati, e 15 lire di multa. Per chi non paga è previsto il taglio dell’orecchio. Nota 1^: In Campidano chiamiamo i cereali su lori, in Logudoro su laori/e : Infatti il maggior impegno o lavoro principale, nei campi, era riservato alla coltura dei cereali. In latino il termine labor indica il lavoro, la fatica in genere.

Capitolo XXXIII° - Chi ruba in casa d’altri… con scasso > de chi furarit in domu angiena (1^)ed illa pertungherit in gienna, in muru, in fenestra over in cobertura… sia impiccato alla gola, finché muoia e venga pagato il danno con i suoi beni. Il Curatore (o Mayori de Villa) con i Giurati del paese devono cercare le prove e tenere prigioniero il reo; se non ottemperano al dovere, essi e gli altri uomini del villaggio paghino il danno ed al Regno (Corte = su Rennu) la multa di lire 100, se trattasi di villaggio grande, 50 lire se trattasi di villaggio piccolo e si disponga comunque dei beni del reo per pagare i danni. Nota 1^ > in domu angiena = in casa altrui: angiena deriva dal latino aliena. In lingua sarda per indicare la roba altrui si dice sa roba alléna (Campidanese) sa roba andzena (Logudorese).

 

Capitolo XXXIV° per i furti in casa altrui senza scasso, ma solo per denuncia. Il Curatore del villaggio ed i giurati hanno l’obbligo dell’indagine e se trovano il corpo del reato > si agattant su cabu de sa fura <, l’indagato deve dimostrare che è suo o da chi l’ha avuto o comprato. Se non riesce a dimostrarlo, paghi al derubato, davanti al Curatore) quanto dovuto per il mal tolto ed alla Corte la multa (machicia) di lire 50 entro e non oltre 15 giorni dalla sentenza, pena il taglio di un orecchio per il primo furto, l’impiccagione dal secondo in poi. Qualora non si trovi il corpo del reato (1^), il derubato ha l’autorizzazione ad indagare, con 5 uomini del villaggio, sulla persona o sulle persone sospette, le quali devono provare come hanno avuto la roba rivendicata e se l’hanno comprata devono dire da chi, ed anche chi l’ha venduta o data deve giurare davanti al derubato ed ai 5 testimoni. Se viene provata la legittima proprietà , il sospetto o i sospetti siano liberi e senza alcuna pena o condanna > e si non si agattarit su cabu de sa fura chertidindi cussu… <.

 

Nota 1^: chertidindi deriva da chertare, che in sardo ha il significato di litigare, lottare etc. Qui invece dovrebbe avere il significato di cercare, indagare. Abbiamo supposto un errore di scrittura: chertidindi al posto di chergidindi, propriamente da chergere = cercare, indagare.

 

Capitolo XXXV°: dei furti dei quali il mal tolto viene portato da una ad altra Curatorìa > dessas furas chi si fagherint e dugherint dae s’una ass’atera Curadorìa. Il Curatore di quel villaggio, ove arriva la merce rubata è tenuto al sequestro di essa e a trattenere il ladrone > de reer sa fura e de tenni su furoni… infini a chi hat a benni su pupillu (1^)dessa cosa furàda. Se quel Curatore non ottempera a quanto la Carta predispone, paghi al Regno lire 25 di multa ed il valore del furto al derubato.

 

Nota 1^: Pubillu prende il significato di padrone e deriva dal latino pupillus, che però significa pupillo, bambino, infante, prescelto. In Campidanese, su pippìu dessa mamma o dessu babbu o di entrambi significa appunto pupillo, prescelto di famiglia. Il pubillu o pubilla o pubilli, nelle Corti o nelle case dei nobili feudatari, erano i prescelti alla successione e quindi i futuri padroni. Pobidda e pobiddu = marito e moglie derivano ugualmente dal latino pupillus e pupilla. Sono inoltre detti in lingua sarda pobiddu e mullèri (dal latino mulier) o anche su mèri/e e sa mèri/e, cioè i padroni della casa. Ma i padroni della casa (i patrizi) nella Roma antica erano il dominus e la domina o mulier, che in sardo diventano donnu e donna ed i figli donnichelli. Mentre l’etimologia di pubillu e pubilla è chiara, non altrettanto chiaro è il loro valore semantico, cioè il significato. Forse perché era uso nelle famiglie nobili promettere un/a in sposo/a sin dall’età infantile: promessa che veniva immancabilmente mantenuta.

Capitolo XXXVI°: la denuncia dei furti e delle malefatte. I Curatori dei villaggi sono tenuti a denunciare i furti ed i delitti avvenuti nel proprio territorio all’Armentario di Corte entro 15 giorni dal reato. In caso do mancata comunicazione il Curatore de Villa paghi alla Corte la multa di lire 15. Nota: l’Armentario (Armentargiu nostru de Logu) era l’Amministratore o Controllore di Corte o Ufficiale Maggiore, che aveva sotto la propria giurisdizione un buon numero di Villaggi (Ville).

Capitolo XXXVII°: la cattura dei ladroni e dei delinquenti. I Curatori dei villaggi sono tenuti, cascuno nella propria giurisdizione a catturare e mettere in prigione i malfattori e a trasmetterli immediatamente alla Corte con la multa, se questa è superiore a cento soldi, se invece è inferiore a tale cifra può essere pagata direttamente al Curatore. Nota: molto spesso citiamo il termine Curatore, che deriva dal latino curator e ci viene da chiedere in che rapporto erano i Curatori con la Corte di Arborea. Facciamo un breve excursus: i Curatores dell’antica Roma, nell’esercizio delle loro funzioni erano magistrati con incarichi specifici; il Curator Caesaris, il Curator Rei Publicae, il Curator Annonae, il Curator Ludorum ed altri, che avevano incarichi per lo più equivalenti a quelli degli odierni Assessori, cioè preposti ad un compito ben definito. Nella Carta de Logu, i Curatores de Villa (detti anche Majores de Villa)erano responsabili di tutto quello che avveniva nel territorio del villaggio da loro amministrato, sia che fosse Villa Manna o Villa Picci(n)a: erano quindi anche giudici.

Capitolo XXXVIII°: del bestiame che viene ucciso di nascosto o rubato. I Giurati (collaboratori del Curatore o Majore de Villa)sono tenuti ad indagare sui furti di bestiame. Se non lo fanno, essi tutti, insieme alla gente del villaggio, paghino ai legittimi proprietari il valore del danno > paghint sa fura assos pubillos comunalimenti… cun sos hominis totu de sa Villa. I Giurati (Jurados)devono catturare il bestiame vagante nei prati di notte e portarlo alla Corte (nota 1^). Essi avranno la terza parte di quanto spetta per la cattura e vigilanza (nota 2^) e ciò s’intenda per buoi domati, che pascolano a “muda” (nota 3^) > e ciòs’intendat pro bois domados, ch’in cussu tempus si paschint a muda, si tennerint, pro chi depint giagher… happant unu terzu…

Nota 1^: I Giurati erano quindi guardie giurate al servizio del Majore o Curatore de Villa: le forze dell’ordine di oggi! Si trattava comunque di uomini altamente responsabilizzati, che rispondevano del loro operato direttamente al Curatore ed al Giudice. Per Corte si intende oltre che il territorio de Rennu, anche i recinti in cui veniva tenuto il bestiame catturato in attesa dell’indagine sul furto. Nota 2^: il testo sardo riporta il termine “tentura” che deriva dal latino tenere, che qui assume il valore semantico di tenere sotto vigilanza. Nota 3^: muda deriva probabilmente dal verbo latino mutare, nel significato di cambiare di posto, spostare: ancora oggi in Barbagia si usa il verbo tramudare, ad esempio, il bestiame da un campo ad un altro.

CXapitolo XXXIX° - Quando i Giurati non catturano il ladrone, pur con l’ordine del Curatore. Se non trattengono il ladro, paghino alla Corte venti soldi a testa, oltre al danno fatto dal ladro. Paghino inoltre la multa in comune (cumoni) col villaggio. Se il ladro scappa gli vengono confiscati i beni, se ne ha, e vengano messi insieme per pagare il danno ed anche la multa (machicia) insieme ai giurati ed al villaggio > e si cuss’homini chi hat a haviri fattu cussa fura, hat a essere fuydu e havirit alcuna cosa dessu suo, levatsilli e convertiscatsi in cussu chi hant a pagari sos Jurados (a cumoni cun sa villa).

Capitolo XL°: Per chi acquista bestiame dello Stato (de Rennu). Chi acquista capi di bestiame degli allevamenti del Giudice, dall’Ufficiale di Corte, dal Maggiore del Regno, da un pastore di Corte, senza il permesso e la parola del Giudice, il compratore paghi 10 volte tanto il valore del bestiame. Se il bestiame è di Chiesa o Privato, paghi 5 volte tanto. Il compratore sia tenuto in prigione sino a che non paga il bestiame e la multa di 15 (bindighi) lire. Il testo recita: > senza paraula dessu Juyghi… o de Ecclesia o de attera Persona senza paraula dessu donnu. Nota: qui nel significato di padrone non troviamo pubillu ma donnu, come già detto, dal latino dominus = padrone, signore.

Capitolo XLI°: contro chi crea danno a vigna o a frutteto. Se trattasi di coltura del Regno (dessu Rennu), il responsabile paghi per il danno 50 lire alla Corte; se si tratta di coltura della Chiesa o di privati il reo paghi 25 lire per il danno. Se il reo non paga entro 15 giorni dalla sentenza, subisca l’amputazione della mano destra. I Giurati sono responsabili della cattura del delinquente - > siant tenudos sos Jurados de tenni s’homini… in caso contrario i Giurati paghino alla Corte il danno e la multa di 10 soldi a testa. 

 

 

               

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