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ZZDICIUS/D

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DICIUS/D

De centu cosas trotas no ndi bessint duas paris: fra cento cose storte è difficile trovarne due pari. Questo detto si adatta soprattutto alle persone e indica i “centomila” volti della pazzia umana” ( su macchìmini).

De cussa linna faint is santus: di quel legno fanno i santi. L’espressione si adatta a quelle persone che, pur provenendo da ceti popolari più bassi, riescono a sollevarsi più in alto nella scala sociale. È il contrario di “truncu ‘e figu, astua ‘e figu…vedi: lettera T.

De festa in festa che cuaddu curridori: di festa in festa come i cavalli da corsa. Un tempo durante le feste popolari e religiose, le attrazioni più belle per la gente del luogo e per i visitatori erano la corse dei cavalli e soprattutto is pariglias. Il detto è una severa critica contro quelle persone che sono sempre presenti a tutte le feste (uomini soprattutto) e trascurano spesso il lavoro e la famiglia.

De innoi a si movi, si morrit su molenti de s'arrisu: da qui a muoversi, muore l’asino dalle risate. L’espressione sta ad indicare il comportamento di chi è molto lento nel portare avanti un lavoro, ma soprattutto di chi tentenna tanto prima di prendere una decisione.

De is aterus ti podis fui, de tui no!: dagli altri puoi scappare, da te stesso no! Un prigioniero può fuggire dalla vigilanza più stretta possibile, ma non potrà mai fuggire dalla propria coscienza. È un proverbio pieno di alto significato morale e quindi sempre valido per tutti i popoli della Terra.

De Levanti a Ponenti: da Levante a Ponente. Si dice così quando si vuole esagerare su una distanza.

De malu pagadori tirandi su chi podis: da un debitore difficile accontentati di quanto riesci ad avere. Vi sono quelli che non pagano mai i debiti, quindi riuscire ad ottenere qualcosa da loro è una grandissima vittoria. Qui da noi il “comparatico” è di tre specie: primo è quello di battesimo o cresima; secondo è il comparatico dei Fiori ( del giorno di San Giovanni 24 giugno); il terzo è quello del debito: gomai o gopai de depidu.

De nudda no si fait propiu nienti: dal nulla ci ricavi un bel  niente. Il proverbio viene usato per indicare lo stato di assoluta indigenza economica; la situazione di estremo imbarazzo mentale o di nichilismo assoluto. È inutile tentare di cavare qualcosa da una zucca vuota!

De onnya erba u’ fasci: di ogni erba un fascio. Proverbio comune. Fare di ogni erba un fascio significa mettere alla rinfusa molte cose, oppure giudicare tutti alla stessa stregua, oppure vivere disordinatamente, senza regole, alla giornata, alla rinfusa.

De paskixedda in susu frius e famini in prusu: da Natale in su freddo e fame in più. Per i poveracci dopo Natale cominciava il vero inverno, con freddo e gelo e fame in abbondanza ( a conch’ y ’enùgu).

De sa  peddi ndi faint is corrias. Dalla pelle si fanno la corregge. È come spremere un limone già spremuto. Che cosa si può pretendere da un uomo che non ha più niente ed al quale è rimasta solo la pelle? Solo le corregge! Si dice anche: De su boi ndi faint is corrias: del bue fanno le corregge. Come a dire: di quello che rimane dopo che è stato sfruttato sino alla vecchiaia; così come abbiamo detto per l’uomo anziano, al quale è rimasta soltanto la “vecchia” pelle.

De sa crai a sa cricca: dalla chiave al chiavistello. Passa poca differenza. L’espressione si usa per caratterizzare due persone che hanno tantissime cose in comune (in senso negativo), con lo stesso significato di altre espressioni come: de galèra a presoni; de Sant’Antoni a su Spidali ed altre. Oggi il detto si può applicare a certi uomini politici, di centro destra o di centro sinistra. Ad esempio quando si parla delle grandi riforme sociali ed economiche per la Sardegna: prima c’era il Centro Sinistra a governare, oggi c’è il Centro Destra… de sa crai a sa cricca o de galèra a presoni passat pagu differentzia!  

De sa matta arruta si fait linna: dall’albero caduto si ricava legna. Quando l’albero cade rimane ben poco da fare. Quando in una casa - famiglia cadeva il tronco, cioè il capo famiglia, il resto andava spesso alla deriva.

De spisai e de basai no ti ndi prandis mai: di mangiar semini o di baciare non sei mai sazio. Le cose di poca importanza riempiono la vita degli uomini, ma per i sardi si tratta di frivolezze, che lasciano il tempo che trovano.

De su cancuru a s'arrabiu: dal cancro alla rabbia. Passa poca differenza. Come in precedenza “de sa crai a sa cricca” ed altri.

De su cantidu si conoscit su pilloni: dal canto si riconosce l’uccello. Quando ci avviciniamo ad un luogo dove si svolge un’assemblea, un dibattito, un raduno di amici e parenti o comunque si sente il vociare di un gruppo di persone e riconosciamo una voce in particolare, perché più grossa o più arrogante o più pungente delle altre, ci viene spontaneo dire: “La! De su cantidu si conoscit su pilloni”! Solitamente usiamo il termine pilloni in senso negativo”! “Pilloni bonu jei est! Per indicare un poco di buono.

De su chi ti timis no ti ndi salvas: da quel che temi non scampi. Quando si fa un torto bisogna aspettarsi la ritorsione, a parole e spesso anche a fatti. Oppure: se hai paura o il presentimento morboso di una cosa, non scampi. Vedi: gelosu ses, corrudu morris! = sei geloso, morirai cornuto!

De su didu nci lompis a su guidu: dal dito al gomito. Chiedi un dito ed arrivi al gomito. Questo detto si può applicare a tante situazioni che caratterizzano la cupidigia dell’uomo.

De su fruttu si conoscit sa matta: dal frutto riconosci l’albero. E quante volte è capitato anche a voi di guardare il volto di un bambino o una bambina e di risalire subito ai genitori? E l’insegnante elementare che nel bambino rivede il genitore, che magari era suo compagno di studi. Questo proverbio viene generalmente usato a fin di bene, mentre ve n’è un altro “truncu ‘e figu, astu’e figu” (v. dicius T), che solitamente viene usato in senso negativo.

De su malu pagadori tirandi su chi podis: dal cattivo debitore prendi quello che riesci. Quelli che trovano “troppo pesante” restituire un debito, non aspettano altro che la lite col creditore per non pagare. In questi casi, da parte del creditore, è meglio ricorrere alla diplomazia ed accontentarsi di quello che si riesce ad avere.

De su pagu pagu de su meda nudda: del poco poco dal molto niente. Siamo di nuovo di fronte ad una di quelle situazioni che caratterizzavano l’economia di molte famiglie sarde: era necessario accontentarsi del poco. Il proverbio si estende ad altri sensi oltre quello economico e sociale.

De su saccu no ndi bessit su chi no dho-y est: dal sacco non esce quello che non c’è. Spesso da certe persone ci aspettiamo cose impossibili, che non possono assolutamente offrirci, dalle quali non può uscire ciò che non hanno. Perché pretendiamo tanto dai nostri uomini politici, quando dal loro “sacco” può uscire assai poco?

De su surdu no fueddist mali, de su tzurpu no ti beffist: del sordo non devi parlare male, del cieco non devi beffarti. Provate invece a beffarvi del sordo ed a parlare male del cieco se volete avere una degna risposta ai vostri insulti!

De una cincidda ndi podit bessì(ri) unu fogu mannu: da una scintilla può scaturire un grande incendio. Può avere senso tanto negativo quanto positivo. Da una piccola iniziativa può sorgere una grande impresa. Da una piccola lite può nascere una guerra.

De una spina ndi bessit una rosa: da una spina una rosa. Esempio: da genitori di basso livello culturale può nascere un premio Nobel. È un proverbio universale ed è esattamente in senso contrario al detto, “truncu ‘e figu, astu’’e figu”. Il proverbio si può applicare a tantissimi altri casi umani.

Deus aggiudit s'arriccu ca su popuru jei s'arrangiat: Dio aiuti il ricco, poiché il povero se la cava. “Tristu e miserinu s’arriccu su poburu jei s’arrangiat” (vedi dicius lettera T). L’espressione è ancora molto usata in tutte le parti della Sardegna. Noi abbiamo sempre avuto l’impressione che sia stata inventata dai ricchi, per difendere il proprio benessere ed impedire, appunto ai poveri, di attentare ad esso. “In tempo di guerra – mi dice sempre mia madre – nelle case dei ricchi il pane non era mai mancato, mentre mancava spesso nelle case dei poveri”! Il proverbio comunque indica il grado di sopportazione del povero alla miseria, a cui è abituato da sempre, mentre il ricco nell’indigenza muore: Dio salvi i ricchi dalla miseria!

Deus donat Deus arregolit: Dio da, Dio prende. Dio se riferito alla vita ed alla morte. In tutti gli altri casi è la sorte che da e toglie, ma quasi sempre con lo zampino dell’uomo. Qui mi viene in mente un altro detto: “ Tristu e miserinu de su poburu avantzau”! Si tratta  senz’altro di miseria morale. Infatti “su poburu avantzau” il neo ricco dimentica facilmente il suo primitivo stato di indigenza, e con la forza del denaro crede di essere assurto agli alti ranghi!

Deus donat su pistoccu a chi no portat dentis: Dio da i biscotti a chi è senza denti. In senso lato, il proverbio indica tutte quelle situazioni in cui uno ha le doti e le opportunità per emergere, sia in senso economico che in senso culturale, e non ne approfitta.

Deus mi dh’’hat donau arguai a chi mi dhu toccat: Dio me l’ha dato, guai a chi melo tocca. Si dice di una cosa a cui teniamo tanto.

Deus no tenit fillus de scabudai: Dio non ha figli e figliastri. Siamo tutti figli di Dio, in tutti i sensi, dal Presidente, al giovane disoccupato di Las Plassas, all’immigrato del Senegal, al barbone  di Stazione Termini. Purtroppo è solo una credenza religiosa!

Deus pagat tottu: Dio paga tutto. Come è inutile pregare Dio per calmare le eruzioni dell’Etna, è altrettanto inutile incolparlo della siccità. Non sembra vero, nel paese di Orgosolo, per antica usanza, quando non piove da tanto tempo, legano il crocefisso ad una fune e lo calano nell’acqua di un pozzo, quasi per “punire Dio” della siccità (nd’hat a teni nexi Deus?) In molti altri paesi della Sardegna, e non, per richiamare la pioggia tolgono i vecchi simulacri dei Santi dalle nicchie e li portano “a spasso”: almeno per i simulacri è un bene perché prima delle processioni vengono ripuliti dalle muffe! Il proverbio da adito anche ad altre interpretazioni. Il Creatore governa dall’alto le sue creature, tra cui c’è l’uomo, che, diversamente dalle altre, è libero di agire nel bene e nel male e che alla fine dovrà rendere conto a Lui del suo operato. “ I conti sono conti e devono tornare”! Va ripetendo Antonino Mameli. Vedi Dicius A – A contus malus si dho-y torrat.

Deus po tottus d-onnyùnu po sei: Dio per tutti, ciascuno per se. Aiutati che Dio t’aiuta. In molte situazioni della vita, l’essere umano, deve riuscire a cavarsela da solo, con le sue forze e col solo aiuto morale di Dio. La riflessione, il rimorso di coscienza, determinate scelte sono proprie dell’individuo.

Deus serrat ua porta e nd'aberrit un'atra: Dio chiude una porta e ne apre un’altra. Nella sofferenza umana, quando uno trova tutte le porte chiuse, se si rivolge a Dio ne trova una sempre aperta. La Divina Provvidenza non ha limiti. È l’uomo che invece ha limiti e chiude una porta e spranga tutte le altre.

Deus si dhu paghit: Dio ve ne renda merito. Quando uno riceve un dono risponde così. Ma anche quando uno riceve un torto!

Deus ti ndi campit!: Dio te ne scampi! Più che un proverbio è un avvertimento, che ad esempio una madre indirizza al proprio bambino che vuol fare qualcosa di proibito o di pericoloso. È usato quindi nel significato di: “ Guai a te”!

Dh’hat a scì(ri) sa lumenàda qui èi: lo saprà lei, che gode di “buona” fama. È un’espressione non proprio campidanese che si usa per una persona (evidentemente donna),che ha sempre da dire sugli altri, ma lei stessa gode di “buona” fama! “lumenàda”, che sta per “nominàda”(nominata), “connòta”(conosciuta), in senso negativo.

  1. come se venisse toccato dalla mano di Dio. Solitamente il detto viene usato in senso negativo. Il proverbio si adatta alle persone che fanno qualcosa di molto pericoloso per la loro salute. Ad esempio, il bagno in mare dopo mangiato; il prendere freddo per uno già influenzato e quindi con la febbre; esporsi alle correnti d’aria fresca dopo una grande sudata. Etc. Etc.

Dhi battit su coru che proceddu in su saccu: gli batte il cuore come un porchetto nel sacco. Il proverbio indica una situazione di particolare spavento.

Dhi battit su coru che topi in casiddu: gli batte il cuore come topo in trappola. Su casiddu è un contenitore di forma cilindrica, dalle pareti abbastanza alte; i sardi lo costruivano di sughero, dalla corteccia appunto della quercia. Su casiddu lo si usava come contenitore per alimenti, come unità di misura per le granaglie ( s’imbùdu = poco più di tre litri; su cuartu = 12,5 litri;  sa cuarra = 25 litri; su moi = 50 litri;  etc. per saperne di più: u’ moi de trigu pesàda 40 chilus = un moggio di grano pesava 40 chili.), come alveare per le api ed altro.  La paura accelera i battiti del cuore. Il detto si usa per indicare una persona che, per un motivo o per l’altro, ha le pulsazioni cardiache molto più accelerate del normale; come il precedente.

Dhi mancat sa melus dì de s'annu: gli manca il miglior giorno dell’anno. Si dice di persona che apparentemente è normale, ma alla prova evidenzia segni di incertezza ( in riferimento più alla mente che al corpo).

Dhi stai beni che barritta a tinjosu: gli sta bene come il berretto ad un tignoso. Si dice di uno che tenta di nascondere i propri difetti. Può avere valore tanto materiale( estetico), quanto morale.

Dhu sciri Deus e d-onnyunu: lo sa Dio, lo sanno tutti. Quando una notizia è diffusa in mezzo alla gente, si usa comunemente questa espressione.

DICIUS D

Dilicau che su burriccu: delicato come l’asino. All’asino attribuiamo dei difetti che in realtà non ha: è un animale molto docile, delicato ed intelligente: quando si comporta da testardo ha sempre le sue buone ragioni. Se applicato alle persone umane, il detto sta ad indicare coloro che si comportano da screanzati e maleducati.

Dominedeu nci nd’est unu fetti: Signore Dio ce n’è solo uno. Non ha bisogno di chiarimenti.

Domu sen’’e fundamentu no durat annus centu: casa senza fondamenta non dura cento anni. Per casa si può intendere una famiglia quanto uno Stato. Le famiglie “solide” riescono a far fronte ad incombenze talvolta anche gravi e durature nel tempo. Gli Stati con buone Istituzioni possono durare non uno, ma diversi secoli.

Dona fidi a tottus, ma no ti fidisti de nemus: dai fiducia a tutti ma non fidarti di nessuno. È un controsenso, ma a riflettere bene sul proverbio, antico quanto il mondo ( fidarsi è bene, non fidarsi è meglio), ci si convince che la fiducia nel prossimo è una cosa santa e giusta, ma che non deve assolutamente essere cieca ed incondizionata.

Donai u’ cropu a s’incodia e unu a su ferru: dare un colpo all’incudine ed uno al ferro. Chi si recava nell’officina di un fabbro ferraio poteva constatare da vicino il significato letterale del proverbio: un colpo al ferro caldo ed uno all’incudine, per dosare meglio il successivo al ferro e via dicendo. Il proverbio si adatta benissimo a quelle persone che riescono nella propria vita ad essere “moderatamente” equilibrati un po’ in tutte le cose.

D-onnya cosa in su logu suu: ogni cosa al suo posto. Il nostro perenne desiderio è di trovare sempre le cose a posto, ma spesso siamo noi stessi la causa del caos. Anche nella Natura il Creatore ha sistemato tutte le cose bene e nel loro posto, ma ci ha pensato l’uomo a metterle alla rinfusa!

D-onnya lingua portat su bremi(ni) suu: ciascuna lingua ha il proprio verme. È un avvertimento per chi si trova di fronte a persone che solitamente parlano poco e con umiltà. Bisogna fare attenzione perché queste persone se offese in maniera pesante si difendono con “lingua” tagliente come una lama affilata.

D-onnya mali no benit po noxi: non tutti i mali vengono per nuocere; altro proverbio universale, che indica che non sempre, ma spesso, l’errore e soprattutto la coscienza di esso, può riportare sulla giusta via. Si dice anche: “Sbagliando s’impara”.

D-onnya mandroni tenit sorti: tutti i poltroni sono fortunati. Direi che non è proprio come dice il proverbio. Gli indolenti non saranno mai fortunati. La fortuna uno se la cerca dandosi da fare con le proprie mani e con la propria mente e non certo standosene in poltrona.

D-onnya mesi tenit su frori suu: ogni mese ha il suo fiore. Se scavi nell’animo umano, anche nel cuore di un uomo crudele puoi trovare la bontà, che tuttavia tarda ad emergere o non affiora mai. Il proverbio indica tra l’altro che l’uomo non nasce malvagio, ma può diventarlo.

D-onnya nù benit a su pettiri: tutti i nodi vengono al pettine. È un proverbio universale, che indica che i malfattori, presto o tardi devono rendere conto dei loro crimini, davanti agli uomini e davanti a Dio.

D-onnya peccau torrat a penitentzia: ogni peccato ha la sua penitenza. Quand’anche uno, nella sua crudeltà, non rende conto agli uomini delle sue malefatte, ne deve rendere conto alla sua coscienza e a Dio.

D-onnya pilloni torrat a su niu: ogni uccello torna al suo nido. Il proverbio indica il forte richiamo della terra di nascita e di infanzia. È un desiderio che tormenta chi sta lontano dalla propria gente. Un attrazione che ha ispirato le menti di grandissimi poeti come Dante Alighieri, Ugo Foscolo, D’Annunzio e tanti altri. –… “ Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura” ( Foscolo: a Zacinto); - “… Han bevuto profondamente ai fonti / alpestri, che sapor d’acqua natìa / rimanga nei cuori esuli a conforto /…Ah perché non son io coi miei pastori? (D’Annunzio: I Pastori). È un sentimento che tormenta i tanti sardi sparsi per il mondo, attratti fortemente dal richiamo della propria terra.

D-onnya sonu mi parrit unu tronu: ogni suono mi sembra un tuono. Il proverbio sta ad indicare la situazione psicologica in cui si trova uno che ha brutti presentimenti, e se sta in uno stato d’animo da far pietà, per cui si spaventa ad ogni piccolo rumore.

D-onnyùnu bantat s'arrega de s'ortu suu: ciascuno vanta i ravanelli del suo orto. È un proverbio universale dovuto al sentimento che lega una persona alle sue cose, ad esempio, un genitore ai propri figli.

D-onnyùnu portat sa gruxi sua: ciascuno porta la sua croce. (In ista lacrimarum valle) In questa valle di lacrime non esiste la felicità perfetta; non c’è persona umana che non abbia avuto o abbia problemi nella propria esistenza. Ci sono le persone che per non arrecare disturbo agli altri per le proprie preoccupazioni, appaiono disinvolte e felici. Ma quando si rimarca la loro apparente felicità rispondono: “D-onnyùnu portat sa gruxi sua”!

D-onnyùnu s'arrangiat accumenti podit: ciascuno si arrangia come può. La cosa più importante è mantenere l’onestà ed il rispetto per se stessi e per il prossimo. Torniamo al famoso detto: “Tristu e miserinu s’arriccu, su poburu jei s’arrangiat”! (vedi dicius lettera T).

D-onnyùnu tenit caras is cosas suas, ma jei castiat is allenas: ciascuno ha care le proprie cose ma adocchia le altrui. Si dice anche: “Sa meba de s’ortu allenu est prus saporìda”! = le mele dell’orto degli altri sono più dolci! Il proverbio è valido per tanta altre situazioni.

Dus sartzagonis e unu talleri no bandant beni: due crapuloni ed un solo tagliere non vanno bene. Il proverbio insegna che è del tutto inutile cercare di accontentare due ingordi con un solo pasto, anche se abbondante. La voracità umana, poi, si manifesta in diversi aspetti.

 

   

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